un nuovo cielo dopo la chemio: Forse un gabbiano...

domenica 20 aprile 2008

Forse un gabbiano...

Forse un gabbiano

Mi può spiegare
Perché ho dentro al cuore
Questo profumo di immenso
Mentre guardo il mare

E come l’aquilone d’un tratto/Volò/Libero da catene/Con la sua vita stretta a piene mani/Si lasciò cullare/E sciolse le paure/E i sogni da troppo addormentati/Respirarono a pieni polmoni
Volava/E non avrebbe più guardato laggiù

Silenzio
Diafano scorrere del tempo
Ti cerco per riempirmi di te
Per respirarmi fino in fondo
Toccarmi
E finalmente sentirmi
Silenzio
Che voce hai?

Nessun commento:

Posta un commento

Iscriviti a: Commenti sul post (Atom)

IL MIO LIBRO

"Mi riprendo il biglietto"

Un nuovo cielo dopo la chemio

di Milena Bidinost

Prefazione Pino Roveredo

Editore Omino Rosso

Costo € 12

Info e ordini:

Editore: www.ominorosso.it (sezione cerca libri/autori)
Autrice: milena_bidinost@hotmail.com

Parte del ricavato della vendita
andrà a sostenere il progetto

"Prendersi cura"

Sportello informativo, centro ascolto e auto-mutuo aiuto per la famiglia che sostiene il malato oncologico realizzato dalla sinergia delle Associazioni Oncologiche della provicia di Pordenone

http://www.associazionioncologichepn.it/index.html

"MI RIPRENDO IL BIGLIETTO"... capitolo primo

“Donne operate al seno”. Dal 1 dicembre 2004 sono entrata a farne parte anch’io. Dovrò attendere ancora diversi anni per uscire dal rischio di recidiva. E siamo appena nel 2008. La paura che tutto ritorni, quella invece mi accompagnerà a vita. Ed è la paura più grande che questa malattia mi ha lasciato, prima di andarsene. E’ forse banale dire che non sono più la stessa, che un’esperienza del genere ti cambia, che certe cose bisogna sentirsele sulla pelle. Mi va di dirlo ugualmente, perché questa è la verità. Dal 6 agosto 2004, giorno in cui il mondo mi è crollato addosso, non sono più quella di prima. La cosa più difficile è capire chi è questa nuova persona che mi guarda ogni mattina dallo specchio e mi chiede di non disperdere nel nulla mesi di sofferenza e di malattia. Mi chiede di fare tesoro di ciò che hanno sentito il mio corpo e la mia anima in quei quattro mesi di chemioterapia che mi sono sembrati anni, tanto erano pieni di vita. Perché, paradossalmente, quando ti arriva addosso una diagnosi di cancro con tutto il senso della morte che si porta dietro ti si scatena dal di dentro una gran voglia di vivere. Questa per lo meno è la mia storia ed è stata anche la mia salvezza.

Quando quel maledetto venerdì 6 agosto il radiologo del Centro di riferimento oncologico di riferimento oncologico di ricerca (Cro) ad Aviano mi ha dato il responso della biopsia, mi sono accorta in un attimo di quante cose avevo ancora da fare, tante da dire e da scoprire. Li ho vissuti intensamente quei mesi e mi hanno dato molto, pur nella totale tranquillità di casa mia. A distanza di oramai tre anni, oggi sono tornata a vivere a pieno nella vita che vivono anche gli altri, quella che era anche la mia. Mi accorgo però che non guardo più con gli stessi occhi. E la mia scala di priorità è cambiata. Anche se nella mia mente i progetti di vita che mi hanno tenuta a galla in quei mesi sono pronti per essere concretizzati, il pensiero della malattia, quella che potrebbe ritornare, non mi lascia mai. Posso accantonarlo per un po’, ma lui ritorna a far capolino e questo fa male. Mentre parlo con la gente e rido di gusto, mentre ballo, mentre lavoro. Non mi lascia mai. Cerco a volte di impostare la mia mente come se quella cosa non fosse mai esistita. Ma – è strano – per farlo dovrei ritornare alla vecchia me stessa e non la trovo più. Non so se il mio è un percorso standard di tutti coloro che hanno imboccato questo tunnel, ma ritornare a vivere tra gli altri per me è stato quasi più difficile che non attendere la data dell’operazione.

Prima il mio obbiettivo era concreto e la strada da percorrere chiara. Chemioterapia neoadiuvante per tentare di ridurre il nodulo ed evitare così la mastectomia, e quindi l’intervento. Prima il nemico contro cui dovevo combattere aveva un volto e una casa. Lo trovavo lì ogni volta che la mia mano, in un istinto quasi protettivo, si posava sul mio seno. Nei mesi, mentre a una seduta di chemio ne seguiva un’altra, ne controllavo le dimensioni e millimetro dopo millimetro mi avvicinavo alla fine di tutto. Ora, da quando il cancro ha abbandonato il mio corpo, non so più contro chi lottare. A chi ora devo gridare forte che non ne voglio più sapere del suo odore e di quel senso di sporco che mi ha fatto provare? Il mio è terrore allo stato puro che il male ritorni e che questa volta sia per sempre. D’ora in poi il mio nemico sarà questo terrore: impalpabile, perennemente in agguato, subdolo e insopportabile. Ma la mia storia mi ha insegnato: i miracoli esistono e partono dalla nostra forza di volontà.

Letta da...

ENRI LISETTO- giornalista del Messaggero Veneto

"Ho letto tre volte il libro di Milena. Permettetemi di chiamarla solo per nome perché, oltre che essere una brava giornalista e ora scrittrice, Milena è una donna, una collega nella nostra comune passata esperienza televisiva. Milena è anche un’amica la cui esperienza della malattia ho seguito indirettamente, attraverso il racconto – spesso timoroso, oltre che preoccupato – di altri. Sì, perché io sono uno di quelli – e nel suo libro ne troviamo tanti – che hanno cominciato a capire, ad immaginare il suo vissuto del 2004, quando l’avevamo vista con un altro look, non quello che ormai da anni la caratterizzava. E sono uno di quelli che non hanno mai osato chiedere (col senno di poi, del dopo lettura del libro, sbagliando).
Dicevo che ho letto il libro tre volte: quando è uscito, il giorno dopo la prima presentazione e in questi giorni. L’ho trovato sempre diverso, sempre ricco di spunti di riflessione, che cambiano di pagina in pagina, che maturano con il tempo.“Mi riprendo il biglietto” inizia venerdì 6 agosto 2004. Milena, a mezzogiorno, deve fare un’intervista. Ha solo un appuntamento, in mezzo, tra la quotidianità e quell’impegno di lavoro. Una telefonata. Una telefonata che arriva un’ora prima dell’appuntamento e che le cambia la vita. Una telefonata, anzi, che stoppa la vita di tutti i giorni, che “sospende” l’esistenza di Milena. Le visite che con insistenza Milena aveva voluto fare e che alcuni medici sostenevano essere superflue già delineano il carattere della protagonista: ostinata. Ostinata e con sesto senso. Nel suo seno il male già stava facendosi largo. Milena però non si perde d’animo: è sconfortata, certo, questo è innegabile. Quel venerdì le ha aperto molti interrogativi e un periodo buio, privo di prospettive certe. Milena è giovane. Ha 29 anni. Milena si fa la domanda che viene spontanea farsi – quando tocca direttamente e quando tocca indirettamente - : perché proprio a me? Da quella domanda nasce un percorso di vita, di lotta, di fede, di ostinazione. Deve finire tutto. Deve finire bene. Proprio perché Milena ha 29 anni, proprio perché Milena è tenace. E’ una giornalista. Quando un giornalista fa una domanda non solo vuole, ma addirittura pretende una risposta. In ogni caso. Deve portare al suo capo un prodotto. Deve portare una risposta alla domanda che la redazione formula. Milena decide: devo guarire, costi quel che costi. Il suo tema, il suo compito da quel 6 agosto è: trovare la strada per tornare quella di sempre, non la Milena del “perché proprio a me”. (…). Le note scandiscono i tempi dell’opera. Il 6 agosto 2004 va in scena il primo tempo. C’è poi un 13 agosto, il ricovero in ospedale, al Cro, il giorno antecedente la prima chemioterapia. C’è un 13 agosto che la metterà a confronto con una dura realtà, la perdita – sebbene temporanea – di un elemento di femminilità: la perdita dei capelli. Ci sono pagine, che riguardano questo episodio, che si leggono tutto d’un fiato, lineari, realistiche, crude, a volte dure: la preparazione non solo fisica, ma anche psicologica, la scelta della parrucca, il taglio dei capelli, la chemio, appunto, il dopo, l’ansia di quel count-down che porterà al fatidico giorno. (…). Domenica 28 novembre 2004 è il giorno della partenza per l’Istituto oncologico di Milano. E’ un giorno che segna un’altra tappa dell’avventura di Milena. “Ad andarsene via – scrive ricordando quelle quattro ore di viaggio da Pordenone a Milano, in auto - era la Milena malata che si portava addosso quella cosa fastidiosa e sporca e che sarebbe ritornata comunque diversa”. C’è la notte antecedente l’intervento. C’è il giorno dopo e il risveglio: 30 novembre 2004. “Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo, ma pensa come se non dovessi morire mai”. E’ un convincimento impegnativo, scrive Milena, ma spesso sono proprio silenzio e riflessione ad aiutarla a percorrere un irto e ripido sentiero. (…) Con lei il male è stato generoso. L’ha sconfitto. Scrive nelle prime e nelle ultime pagine del libro: “La paura che tutto ritorni, mi accompagnerà a vita. Ed è la paura più grande che questa malattia mi ha lasciato prima di andarsene”. Oggi Milena è un’altra. E’ la Milena di tutti i giorni per noi che la conosciamo, è la Milena che vuole vivere ogni istante della sua vita, per lei stessa.
Milena conclude con una lezione di vita: “La mia storia mi ha insegnato: i miracoli esistono e partono dalla nostra forza di volontà”. Ecco, vorremmo che tutti coloro che si trovano nel mezzo, all’inizio, alla fine di un percorso doloroso e drammatico simile, ne facessero tesoro, consci che ben diverso è dirlo, altro è viverlo. Che ben diverso è essere protagonisti, ben altro è essere spettatori esterni. Milena si è ripresa il biglietto del viaggio della vita ed è nostro auspicio che tanti altri lo possano fare. Milena ha raccontato una straordinaria testimonianza di forza, di fede e di coraggio. Ha voluto lanciare un messaggio di speranza, con il pensiero rivolto a chi è in corsia, ai familiari, ai medici che oltre ai protocolli si trovano alle prese con uomini e donne con una storia singolare e singola. Umana. Il libro non è retorico, tanto meno autocelebrativo. Milena ha il coraggio di guardare indietro per andare avanti. (…) Una lettura – tutto d’un fiato di questo libro – vale molto di più di tante parole perché infonde davvero tanta speranza. Grazie, Milena e tanti auguri!"

ARRIVEDERCI E GRAZIE DI AVERMI FATTO VISITA..

"Nessuno può dire a nessuno se guarirà e quando guarirà. Mentire spesso serve più ai sensi di colpa di chi è sano che non al disorientamento di chi è malato. Ciò che egli si aspetta è di essere fino all'ultimo "un normale": di continuare a godere della famiglia, dei figli, degli amici, del lavoro e dei viaggi... Delle gioie e dei dolori della quotidianità. Di sentirsi cioè parte della società e non piuttosto un essere fragile da maneggiare...con paura. Ecco, allora, una cosa credo si possa fare: semplicemente continuare a vivere e a far vivere la persona per com'era prima. Portare dentro ai suoi giorni di malata la vita di tutti i giorni. E se ci troviamo di fronte al suo sacrosanto diritto di preferire, a questa, la strada della solitudine...limitiamoci, semplicemente, a rispettarla".
Con amore, Milena