mercoledì 1 febbraio 2012


Per loro tu non avresti dovuto esserci. Per loro tu eri il giusto riscatto per la vita che mi hanno salvata.Per loro, piccolo mio, tu non eri il più urgente dei problemi. 
Tu sei il frutto di un cinquanta percento di probabilità che tutto andasse bene, sei il frutto del mio naturale desiderio di riuscire a stringerti tra le braccia. Tua madre, figlio mio, ha avuto il cancro. Aveva 29 anni. (Dedica in “Mi riprendo il biglietto. Un nuovo cielo dopo la chemio)

 
Me ne sono accorta solo ieri sera. Dopo tanti anni. E’ una brutta eredità quella che ho scelto di lasciare a mio figlio o a mia figlia che sarà. Io il cancro l’ho avuto, nel 2004, ma oggi non ce l’ho più e allora perché, mi sono per la prima volta chiesta, continua la mia mente a ragionare come se “lui” fosse qui? Come se fosse la parte più importante dei miei quasi 37 anni di vita? Eppure “lui” se né preso solo uno di anno, dalla diagnosi, alla cura fino all’intervento. Allora perché dire a mio figlio o figlia che sarà: “Tua madre ha avuto il cancro”, perché farlo con quella arroganza – o forse è paura? - di chi ancora veste la veste del malato, seppure ex, per darsi un’importanza? Non sono dura con me stessa, tutt’altro. Ieri sera quando d’un tratto questo pensiero mi è assalito e ho sentito che ero sulla strada giusta, ho provato tenerezza e comprensione per me, perché sono anche fragile, spesso. No, non sono troppo critica, nemmeno cinica, ma solo consapevole finalmente che con il cancro ho ipotecato il mio futuro. Sbagliando. Seppure forte, seppure positiva, seppure ironica a volte su ciò che mi è capitato io con il cancro ho voluto viverci a lungo, più a lungo del tempo in cui lui ha sostato nel mio corpo, nel mio seno. Perché la malattia me la sono portata nella mente, e nella mente mi si è creata un’immagine di me ex malata, ex resuscitata, ex…dimenticando che prima e dopo il cancro c’ero e ci sono sempre io. Che brutta cosa che stavo per fare. A mia figlia o figlio che sarà stavo per dire, nero su bianco, ecco, leggi, questa è tua madre, grazie al cancro. No, giusto sarebbe dire: “ Anche questa è stata tua madre, mentre aveva il cancro”. Suona meglio, no? Ha meno il tono di una sentenza e più la morbidezza della vita che ti fa essere tante cose e ti fa vivere ogni giorno in modo diverso. Così mentre il mio corpo, assieme alla mia quotidianità e ai miei successi ed insuccessi avanzavano, dopo il cancro, la mia mente, la mia visione di me restava ancora ancorata ad esso. Come avessi un’etichetta appiccicata addosso – l’ho pure scritto nel mio libro – chiamata cancro: chi ce l’ha ancora, chi ce l’ha avuto, chi è morto a causa sua. Per la gente siamo quelli del cancro: eppure noi siamo anche altro. Quanti raffreddori una persona si prende nell’arco di una vita e non viene riconosciuta solo per questo? Ci sono etichette che rendono facile l’identificazione, universale il linguaggio, veloce la comprensione: è quella che ha avuto il cancro; è quella che si è separata; è quella che è stata tradita; è quella che è fallita etc… (Magari di etichette ce ne sono pure di positive, ma al momento, chiedo venia, non me ne sovvengono). Al là di tutto, se penso a cosa dire a mio figlio e figlia che sarà sorrido, oggi, perché non saprei come descrivermi. Fino a ieri ero solo quello, oggi capisco che sono tante cose e tante esperienze, sentimenti, emozioni, pensieri …che cambiano e che per conoscerli devono essere solo vissuti. Penso che a mio figlio o figlia, oppure, chissà magari anche ad entrambi in un tempo solo sarà più giusto dire: “Ecco, leggi, qui c’è tua madre a 29 anni. Ma la persona che  fino ad oggi è diventata non solamente grazie all’esperienza con la malattia, io te la voglio far conoscere di persona. Giorno dopo giorno, mentre cresci”.

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